Perché i prodotti che acquistiamo sono sempre più piccoli?
Vi ricordate la famosa pubblicità di inizio anni Novanta che fissava a 10 il numero di morsi necessari per gustarsi un intero gelato? Bene, oggi potete scordarvi un piacere così lungo. Basta infatti prestare un minimo di attenzione ai prodotti che sono in vendita sugli scaffali dei supermercati per accorgersi che ciò che acquistiamo si sta “rimpicciolendo” ogni anno che passa: vale sia per le confezioni che, soprattutto, per il peso di ciò che vi è contenuto all’interno. Il problema per noi consumatori è che a ciò non corrisponde un calo dei prezzi che anzi, in più casi, è addirittura aumentato. Sono stati i giornali britannici a parlare per primi del fenomeno, ribattezzandolo “shrinkflation”. Scopriamo di che si tratta.
Cos’è la “shrinkflation”?
L’espressione “shrinkflation” nasce dalla fusione di due termini inglesi, ovvero “shrinkage” (“contrazione”) e “inflation” (“rincaro”). Shrinkflation indica pertanto un processo attraverso cui vengono ridotte le dimensioni dei prodotti di largo consumo mantenendo però sostanzialmente i prezzi invariati se non, come detto, aumentandoli. Tutto ciò avviene sotto lo sguardo inconsapevole del consumatore, il quale nel momento in cui acquista ad esempio una busta di patatine fritte difficilmente si chiede che dimensioni aveva la confezione di quello specifico prodotto uno o due anni fa. Il raggiro è così servito senza che nessuno se ne accorga. E non vale solo per le chips, ma anche per tanti altri casi: per il numero di biscotti contenuti in un pacco; per i fazzolettini di carta nei pacchetti, che molte marche hanno ridotto da dieci a nove; per il peso di una scatoletta di tonno piuttosto che di un cono gelato. E ancora: flaconi di detersivo, bottigliette, yogurt, merendine e infine persino il nostro prodotto nazionale che si avvia a “perdere peso” con pacchi da 400 grammi invece del canonico “mezzo chilo”.
Le tecnologie sempre più sofisticate del packaging (“imballaggio”), sommate alla necessità diffusa di far cassa in anni di crisi economica da parte di molte aziende, hanno prodotto un “restringimento” generale di ciò che acquistiamo, intaccando i nostri risparmi senza che ce ne accorgessimo.
La situazione nel Regno Unito e in Italia
I primi a lanciare l’allarme sono stati i tecnici e gli economisti dell’Istituto di statistica britannico (Ons, Office for National Statistics). Secondo le loro rilevazioni, negli ultimi sei anni in circa 2.500 casi le confezioni di prodotti (soprattutto alimentari e per l’igiene della casa) sono state ridimensionate in peso e quantità.
La situazione in Italia è stata fotografata da Istat. Secondo L’Istituto nazionale di statistica dal 2012 al 2017 i casi analoghi registrati in mercati, rivendite e super-mercati sono stati 7.306. Nello stesso periodo, di 4.983 prodotti è stato modificato non solo il confezionamento ma anche il prezzo. Le classi di prodotto interessate dal fenomeno della “shrinkflation” sono in totale 11. I picchi si registrano nel settore merceologico di zuccheri, dolciumi, confetture, cioccolato, miele (in 613 casi diminuzione della quantità e aumento del prezzo) e in quello del pane e dei cereali (788 casi in cui, però, si è riscontrata solo una riduzione delle confezioni). Bibite, succhi di frutta, latte, formaggi, creme e lozioni sono le altre categorie di prodotti a cui è bene prestare particolare attenzione.
Cosa fare per tutelarsi?
A parte le rilevazioni effettuate da Istat, in Italia ad oggi manca un monitoraggio costante del fenomeno della “shrinkflation”. La proposta che lanciamo è di mettere a sistema controlli periodici sulle dimensioni (confezione e contenuto) e sui prezzi dei prodotti. Solo così potremo sperare di non avere altre brutte sorprese una volta usciti da un supermercato.
Nel frattempo, abbiamo segnalato l’escalation del fenomeno all’Autorità Garante della concorrenza e del Mercato che ha aperto un procedimento e sta monitorando il fenomeno al fine di verificare se possa avere rilevanza ai fini dell’applicazione del Codice del Consumo, con particolare riferimento alla disciplina in materia di pratiche commerciali scorrette. Ma non solo: ho personalmente denunciato il fenomeno in una recente audizione al Senato sul DDL Concorrenza e spero che su questo si attivi la Commissione parlamentare d’inchiesta sui diritti dei consumatori che tra i suoi compiti ha proprio quello di analizzare il fenomeno della sgrammatura dei prodotti.
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