Cattivo pagatore, facciamo chiarezza
Essere segnalato come cattivo pagatore alla Centrale dei Rischi è purtroppo più facile dal 1° gennaio 2021: sono entrati in vigore, infatti, criteri più stringenti in base ai quali una banca può considerare “in default” il proprio correntista.
Cattivo pagatore cosa dice l’Europa
Le banche italiane devono adeguarsi al Regolamento Eba che cambia tra le altre cose i termini per essere definito cattivo pagatore. Non è la prima volta che le istituzioni europee, invece di migliorare le cose, finiscono per peggiorarle. E’ accaduto spesso in materia bancaria, dove le regole sembrano disegnate più per le grandi banche estere che per i nostri piccoli istituti di credito dove conta, almeno in parte, il rapporto di fiducia tra il direttore della banca e il cliente, queste norme hanno finito più per creare problemi invece di risolverli. Ad esprimere un giudizio critico, pensate un po’, fu lo stesso Mario Draghi che, durante la recessione del 2012, mentre era presidente della Bce, ossia della Banca Centrale Europea, ebbe a dire, riferendosi alla capitalizzazione delle banche chiesto dall’Eba (European Banking Authority) che i “programmi di capitalizzazione delle banche non devono comportare sviluppi a detrimento delle attività economiche e non debbono tradursi in uno schiacciamento del credito“. Potrà sembrare poca cosa, ma nel linguaggio pacato che si conviene in questi casi, si trattava in realtà di una “bacchettata” senza precedenti. Sbagliare la tempistica di un provvedimento, infatti, vuol dire fare più male che bene, ossia fare l’esatto opposto di quello che serve.
La nuova definizione di default
Venendo ai giorni nostri, è esattamente quello che accadendo ora. In questo grave momento di crisi per tutti, famiglie e imprese, si è pensato bene di dare un giro di vite per i correntisti, facendo entrare in vigore la nuova definizione di default prevista dal Regolamento europeo relativo ai requisiti prudenziali per le banche (articolo 178 del Reg. UE n. 575/2013).
Tradotto? Ora le banche e gli intermediari finanziari classificheranno i clienti come in default se il debitore è in arretrato da oltre 90 giorni nel pagamento di un’obbligazione rilevante e, udite udite, per essere considerata rilevante basta che l’arretrato sia di appena 100 euro e superi l’1% dell’esposizione complessiva verso una controparte. Le due soglie, quella assoluta di 100 euro (500 per le imprese) e quella relativa dell’1%, devono valere entrambe, insomma, l’ammontare dell’arretrato deve superare tutte e due. Non sarà più possibile compensare gli importi scaduti con le linee di credito aperte e non utilizzate.
A protestare non sono state solo le associazioni di consumatori, ma la stessa Abi, l’Associazione Bancaria Italiana che, in una nota, ha evidenziato che “sin dal settembre del 2015, momento in cui sono state avviate da parte dell’Eba le attività dirette alla definizione delle nuove regole in materia di default, l’Abi ha evidenziato con forza nelle risposte alle consultazioni pubbliche l’eccessiva rigidità delle soglie indicate dall’Eba e le potenziali ricadute negative e i rischi connessi alle nuove regole“.
Quello che ci preoccupa è la rigidità dei due requisiti patrimoniali per essere classificato in default. In pratica basta non pagare 100 euro su un debito di 10.000, o 1000 euro su un mutuo di 100 mila euro, per finire, dopo 90 giorni, nei guai.
Prima accadeva che il debitore era classificato in stato di default se la banca giudicava improbabile che il debitore potesse adempiere alla sua obbligazione senza il ricorso ad azioni quale l’escussione delle garanzie. Questa regola è rimasta, è tuttora valida, ma ora si è aggiunta quella degli ormai famosi 100 euro e per essere classificati come “deterioriati” basta che ricorra anche solo quest’ultima.
Insomma, niente più discrezionalità, niente viene più lasciato alla fiducia, alla conoscenza della persona, al contatto umano, alla sua storia, al suo passato, alla sua condizione di vita.
I chiarimenti della Banca d’Italia
La Banca d’Italia ha cercato di rassicurare tutti, sostenendo che “la nuova definizione di default non modifica nella sostanza le segnalazioni alla Centrale dei Rischi, utilizzate dagli intermediari nel processo di valutazione del merito di credito della clientela. Riguarda esclusivamente il modo con cui le banche e gli intermediari finanziari devono classificare i clienti a fini prudenziali, ossia ai fini del calcolo dei requisiti patrimoniali minimi obbligatori per le banche e gli intermediari finanziari“.
Verissimo, le novità non riguardano le segnalazioni alla Centrale Rischi, ma quello che sta a monte. Peccato che se diventa più facile cominciare ad essere considerato un cattivo pagatore, è probabile si finisca più facilmente anche nella black list e chi si trova in quelle liste nere non riesce più a ottenere un prestito.
Come spiega Bankitalia nelle Faq dedicate all’argomento, se un debitore è classificato come in default sulla base della nuova definizione, non è considerato automaticamente anche “a sofferenza” nella Centrale Rischi. Le banche lo segnalano solo quando ritengono che abbia gravi difficoltà, non temporanee, a restituire il suo debito e questo “presuppone che l’intermediario abbia condotto una valutazione della situazione finanziaria complessiva del cliente e non si sia basato solo su singoli eventi, quali ad esempio uno o più ritardi nel pagamento del debito. Non vi è dunque alcun automatismo tra la classificazione a default e la segnalazione a sofferenza in Centrale Rischi“.
Il problema è che non c’è solo la Centrale Rischi della Banca d’Italia. Esistono anche altre banche dati creditizie gestite da soggetti privati e alle quali gli intermediari partecipano su base volontaria, i Sistemi di Informazione Creditizia (SIC), tipo Crif Eurisc, Experian, CTC, Assilea, che non sono soggetti né alla regolamentazione né alla supervisione della Banca d’Italia.
Che faranno questi? Segnaleranno subito? Per il momento non si sa. Abbiamo provato a chiederlo a Bankitalia e la risposta è stata: “Banca d’Italia non gestisce i SIC (sistemi privati di informazione creditizia) né ha poteri di vigilanza su di essi; le informazioni che richiedete non sono disponibili neanche sul loro sito internet, pertanto non siamo in grado di fornirle chiarimenti sui contenuti dei prodotti che i SIC offrono ai loro clienti“. Eh già!
Inoltre, tornando alla Centrale Rischi di Bankitalia, anche se non c’è un automatismo, è certo che essere classificato in default è comunque un primo passo nella direzione di essere segnalato, passo ora più rapido e frequente.
A rischio l’accesso al credito dei consumatori
Il pericolo di queste nuove regole, poi, è di compromettere o rendere più oneroso il futuro accesso al credito del cliente. Come scrive la stessa Banca d’Italia, essere classificati in default “può avere riflessi sulle relazioni creditizie fra gli intermediari e la loro clientela, la cui gestione può come conseguenza comportare l’adozione di iniziative per assicurare la regolarizzazione del rapporto creditizio“. Insomma: se prima chiudevano un occhio se andavate in rosso, ora vi chiederanno di rientrare, magari addirittura prima dei famosi 90 giorni. E in questi tempi difficili, non è detto che si riesca a farlo. Ma quando hai bisogno di un aiuto, se invece di dartelo ti chiedono di rientrare e ti tolgono la terra sotto i piedi, allora cominciano davvero i guai e a quel punto si entra in un labirinto kafkiano, debito chiama debito, gli inadempimenti diventano persistenti, la situazione di difficoltà diventa grave e non più temporanea, e a quel punto nella Centrale Rischi ci finisci davvero.
Bankitalia ha precisato che “la nuova definizione di default non introduce un divieto a consentire sconfinamenti: come già ora, le banche, nel rispetto delle proprie policy, possono consentire ai clienti utilizzi del conto che comportino uno sconfinamento oltre la disponibilità presente sul conto (ossia di andare in rosso sul conto corrente, ndr) ovvero, in caso di affidamento, oltre il limite di fido“.
Non si introduce un divieto a consentire sconfinamenti, vero, ma certo le nuove misure non li favoriranno e faciliteranno, e, comunque, rischiano di limitarli temporalmente, proprio per non far superare i 90 giorni al proprio cliente. Se, infatti, in una filiale troppi clienti finiscono per essere classificati in default che diranno di quel direttore i capi della sede centrale?
Lo sconfinamento, rappresenta un utilizzo dei fondi per importi superiori alle disponibilità presenti sul conto o al fido accordato. Come spiega Bankitalia, “la possibilità di sconfinare non è un diritto del cliente, ma una facoltà concessa dalla banca, che può anche applicare commissioni (la cosiddetta CIV, commissione di istruttoria veloce). Dal 1° gennaio, come già oggi, le banche potranno continuare a consentire ai clienti utilizzi del conto, anche per il pagamento delle utenze o degli stipendi, che comportino uno sconfinamento. Si tratta tuttavia di una scelta discrezionale della banca, che può consentire oppure rifiutare lo sconfinamento. È quindi importante conoscere bene il contratto stipulato con la propria banca e dialogare con essa“.
Come evitare problemi con la banca?
Cosa fare, quindi? Andate a rileggervi il contratto stipulato con la vostra banca per vedere cosa prevede, verificate i vostri pagamenti in scadenza, tenete sempre sotto controllo i saldi dei conti correnti, informatevi e dialogate costantemente con il direttore della vostra banca, per evitare un inasprimento dei rapporti. Se pensate di superare le due soglie, (quella di 100 euro o quella del 1%), meglio giocare d’anticipo piuttosto che nascondere la polvere sotto il tappeto.
Ancora: se non si riesce a essere strettamente in regola con le scadenze, andare in banca e chiedere un affidamento; se anche l’affidamento supera lo scoperto di conto corrente già accordato, concordare assieme al direttore di filiale di superare momentaneamente l’affidamento già concordato e se la situazione è critica, concordate eventualmente un piano di rientro.
Il problema politico
Per il resto, il punto è politico. Come è possibile che durante una pandemia e una recessione economica di tale portata si faccia entrare in vigore questo giro di vite “pro-ciclico”, con soglie che penalizzano anche i clienti meno benestanti.
Mark Twain diceva “le banche ti prestano denaro, se puoi dimostrare che non ne hai bisogno“. Insomma sembra prendere forma la storiella del banchiere che vi presta l’ombrello quando c’è il sole e lo rivuole indietro appena incomincia a piovere. Beh ora sta piovendo e anche se le banche stavolta non c’entrano con l’incauta decisione dell’Eba, il rischio è che l’aforisma di Twain diventi la cruda realtà. Magari l’ombrello te lo lasciano, ma per non più di 90 giorni!
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