Il più recente orientamento della Cassazione sul recesso esercitato in caso di mancanza del certificato di agibilità
Con ordinanza n° 9226/2020 la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata sulla legittimità dell’esercizio del diritto di recesso da parte del promissario acquirente dal contratto preliminare di compravendita a seguito dell’assenza del certificato di agibilità dell’immobile al momento della stipula del contratto definitivo.
Il fatto
La controversia ha inizio con la proposizione di un ricorso ex art. 702 bis c.p.c. con cui i promittenti venditori di un immobile avevano convenuto in giudizio il promissario acquirente al fine di:
- accertare il legittimo esercizio del loro diritto di recesso dal contratto preliminare sottoscritto;
- accertare il conseguente diritto a trattenere la caparra versata;
- ottenere la cancellazione della trascrizione del suddetto contratto preliminare.
A sostegno della loro pretesa essi rappresentavano che nel contratto preliminare era stato fatto espresso riferimento all’assenza del certificato di agibilità dell’immobile (anteriore al 1967), nonché al mancato completamento della pratica di condono edilizio. Pertanto, non solo il promissario acquirente non si era presentato per la stipula del definitivo nel termine convenuto dimostrandosi, così, inadempiente rispetto alle obbligazioni assunte con il preliminare, ma prima della data della stipula del contratto definitivo aveva addirittura illegittimamente preteso il differimento del rogito e il dimezzamento del prezzo di vendita motivando tale richiesta sulla base dell’assenza del certificato di agibilità e il mancato completamento della pratica di condono edilizio.
Il convenuto, costituitosi in giudizio, chiedeva dal canto proprio il rigetto della domanda di parte attrice e, in via riconvenzionale, l’accertamento della legittimità del suo recesso unitamente alla condanna dei ricorrenti al pagamento del doppio della caparra.
Il Tribunale di Roma, investito della questione, ha rigettato la domanda principale ed accolto quella riconvenzionale dichiarando la legittimità del recesso operato dal promissario acquirente in considerazione dell’interesse del medesimo ad acquistare un immobile dotato del certificato di agibilità – ed in regola con la normativa urbanistica – e condannando gli attori al pagamento del doppio della caparra.
La sentenza di primo grado veniva confermata in Appello non solo a causa della mancata prova da parte degli appellanti della rinuncia del promissario acquirente al requisito dell’agibilità dell’immobile, ma anche in ragione della valutazione complessiva operata dai giudici in ordine ai reciproci inadempimenti sostenendo, in particolare, la non scarsa importanza di quello imputabile agli appellanti.
La decisione della Cassazione
Giunti dinanzi alla Suprema Corte i promittenti venditori hanno visto nuovamente rigettare le proprie doglianze alla luce dei seguenti chiarimenti:
- la mera previsione della formula non c’è il certificato di abitabilità non è idonea a configurare una rinuncia della parte acquirente a subordinare la conclusione del contratto definitivo al rilascio del certificato di abitabilità.
Infatti, come da tempo chiarito da un’univoca giurisprudenza di legittimità, il rifiuto del promissario – laddove l’immobile sia privo dei certificati di abitabilità, di agibilità e di conformità alla concessione – è da ritenersi giustificato, poiché egli ha interesse ad ottenere la proprietà di un immobile idoneo ad assolvere la propria funzione economico-sociale e a soddisfare, altresì, i bisogni che inducono all’acquisto, ovvero la fruibilità e la commerciabilità del bene stesso (Cass. n. 16216/2008, Cass. n. 30950/2017 e Cass. n. 23265/2019);
- inoltre, ai fini della legittimità del recesso di cui all’art. 1385 c.c. non è sufficiente l’inadempimento, ma occorre anche la verifica circa la non scarsa importanza prevista dall’art. 1455 c.c. dovendo il giudice verificare appunto se, in considerazione della mancata o ritardata esecuzione della prestazione, sia da escludere per la controparte l’utilità del contratto (verifica che, nel caso di specie, era stata perfettamente effettuata e motivata dalla Corte di Appello);
- da ultimo, il termine indicato nel contratto preliminare per la stipula del definitivo non poteva considerarsi essenziale in quanto, come chiarito dalla giurisprudenza in tema di preliminare di compravendita, il termine stabilito per la stipulazione del contratto definitivo non costituisce normalmente un termine essenziale: detto termine può ritenersi tale solo quando, all’esito della valutazione riservata al giudice di merito e da condursi con riferimento alle espressioni adoperate dai contraenti, alla natura e all’oggetto del contratto risulti inequivocabile la volontà delle parti di considerare ormai perduta l’utilità economica del contratto a causa del decorso del termine.
Dott.sa Monica Lasala
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