ACCORDI NEGOZIALI POST-DIVORZIO: SE ADEMPIUTI, NON SI CONFIGURA REATO EX ART. 570-BIS C.P.
Nota a sentenza Cass. Pen. 5236/2020 – Ud. 11/12/2019 – deposito 07/02/2020 – Pres. G. Fidelbo – Rel. E. Aprile
La Suprema Corte, nella sentenza in epigrafe, torna a pronunciarsi sulla violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o scioglimento del matrimonio ex art. 570-bis c.p., stabilendo princìpi di rilevante portata teorica e applicativa.
Alla luce di quanto statuito, tale reato non si configura laddove l’agente si sia attenuto agli obblighi ed impegni assunti con l’ex coniuge mediante accordo transattivo modificativo delle condizioni patrimoniali contenute nella sentenza di divorzio, ancorché non omologato dal giudice.
Fattispecie e sentenza di primo grado
Il caso concerne la condanna in capo al soggetto imputato, per non aver garantito ai propri figli i necessari mezzi di sussistenza, mediante il mancato integrale versamento dell’assegno di mantenimento stabilito dal medesimo Tribunale dell’Aquila con la sentenza di divorzio.
Gravame
In fase di gravame, la Corte d’Appello riformava parzialmente la sentenza di primo grado, qualificando il fatto come reato ex art. 570-bis c.p. e rideterminando la pena, ritenendo sussistenti tutti gli elementi per provare la colpevolezza dell’imputato, tra i quali l’irrilevanza dell’accordo intervenuto tra i coniugi per diminuire il quantum dell’assegno divorzile, in quanto non recepito in un provvedimento giudiziale.
Ricorso per Cassazione
Avverso tale sentenza proponeva ricorso, il condannato, affidandolo a due motivi.
In primis, violazione di legge in relazione all’art. 43 c.p. e assenza di motivazione, per avere la Corte confermato la sentenza del giudice di prime cure senza tenere conto del fatto che gli ex coniugi avevano sottoscritto un accordo negoziale non trasfuso in alcun provvedimento giudiziale, con il quale, date le mutate condizioni economiche dell’imputato, l’importo dell’assegno divorzile veniva ridotto di circa 300 euro, obbligo al quale lo stesso aveva adempiuto, venendo così meno la violazione di alcun obbligo di legge e ogni profilo di colpevolezza ex art. 43 c.p. .
Col secondo motivo, violazione di legge in ordine all’art. 570-bis c.p. e vizio di motivazione, ovvero assenza e contraddittorietà della stessa, per avere, la Corte, erroneamente qualificato i fatti come violazione degli obblighi di assistenza familiare ex art. 570-bis c.p., senza accertare le condizioni economiche, rispettivamente, di parte offesa e del ricorrente e l’eventuale nesso causale tra la condotta di quest’ultimo e l’effettivo venir meno dei mezzi di sussistenza in capo ai beneficiari degli stessi.
Pronuncia della Suprema Corte
La Cassazione accoglie il ricorso ritenendo fondato il primo motivo, e con esso, l’assorbimento dell’esame degli ulteriori.
In prima istanza, la Corte richiama un precedente conforme (Cass. Civ. 2019/36392) nel quale era stata già esclusa la configurabilità del reato ex art. 12 sexies l. 898/1970- art. 570 c.p., ovvero la violazione degli obblighi di assistenza familiare per gli ex coniugi che avevano ottemperato ad accordi stragiudiziali non trasfusi nella sentenza di divorzio, che nulla aveva statuito sugli obblighi patrimoniali.
Secondo la Corte, se è vero che gli accordi patrimoniali raggiunti in sede di separazione non hanno effetto sul quantum dell’assegno di divorzio, stante la diversità di ratio e presupposti dei due istituti, tuttavia, un orientamento costante della giurisprudenza di legittimità ha sempre affermato la validità e liceità degli accordi economici raggiunti dalle parti dopo la presentazione della domanda di divorzio, ovvero in una fase nella quale lo stesso è scientemente voluto dalle parti. Su queste premesse, le intese patrimoniali avranno a maggior ragione validità in caso di sentenza di divorzio già intervenuta, laddove gli accordi tra gli ex coniugi siano soltanto modificativi delle statuizioni economiche contenute nella sentenza stessa.
L’unico caso di mancata efficacia di tali accordi è laddove gli stessi presentino clausole contrarie all’ordine pubblico o lesive degli interessi dei beneficiari; ma in assenza di ciò, non vi è motivo per negare validità ed efficacia ad intese transattive tra le parti, indipendentemente dal fatto che siano recepite in un provvedimento giudiziale.
Gli accordi hanno natura negoziale, pertanto, producono effetti per il semplice manifestarsi dell’autonomia delle parti, a prescindere dall’omologazione del giudice. Gli stessi valorizzano in modo preminente l’aspetto volontaristico e del consenso dei coniugi, rappresentano una manifestazione dell’autonomia privata dei medesimi, permettendogli di disciplinare aspetti fondamentali della loro vita post coniugale.
Ciò posto, nel provvedimento impugnato si afferma che l’imputato aveva versato alla ex coniuge un importo di poco inferiore a quello stabilito nell’accordo stragiudiziale post divorzio, quale quantum di assegno di mantenimento. La mancata omologazione di tale accordo da parte del tribunale, non può, tuttavia, -alla luce dell’orientamento giurisprudenziale di cui sopra- influenzare la valutazione -sotto il profilo penalistico- della condotta dell’agente.
Ne consegue la mancata configurabilità del reato ex art. 570-bis c.p. in capo al ricorrente, posto che l’adempimento degli obblighi assunti nell’accordo con l’ex coniuge, modificativo delle statuizioni patrimoniali contenute nella sentenza di divorzio -pur se non omologato dal giudice- esclude in capo allo stesso qualunque forma di colpevolezza. Più specificamente, essendo stato versato dal ricorrente un importo quasi corrispondente a quello stabilito negozialmente dalle parti, l’elemento in difetto è il dolo richiesto dalla norma incriminatrice, ovvero l’elemento soggettivo del reato, ragion per cui la sentenza è stata annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce a reato. Di converso, se il ricorrente avesse versato per intero l’importo pattuito con l’ex coniuge, a difettare sarebbe stato invece l’elemento oggettivo-costitutivo del reato.
In ogni caso, il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte è nel senso della non configurabilità del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o scioglimento del matrimonio ex art. 570-bis c.p., nel caso di ottemperanza -da parte del soggetto agente- agli accordi assunti con l’ex coniuge, modificativi delle statuizioni patrimoniali contenute in un precedente provvedimento dell’autorità giudiziaria.
Pronuncia di preminente rilevanza che, in linea con le posizioni della dottrina prevalente e della stessa giurisprudenza di legittimità, valorizza l’autonomia privata degli ex coniugi, al punto da escludere la configurabilità di uno dei delitti contro l’assistenza familiare.
Dott.sa Chiara Gambelunghe, responsabile sportello UNC Corciano
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