La ragionevole durata dei processi e la legge Pinto
Premessa; ambito di applicazione; rimedi preventivi; competenza; presupposti, procedimento e parte legittimata; danno risarcibile; prova del danno e determinazione del quantum; accoglimento, rigetto ed opposizione
Premessa
La legge Pinto, ovvero la legge n. 89 del 2001, riconosce la possibilità di richiedere un’equa riparazione per il danno patrimoniale o non patrimoniale subìto a causa di un processo di durata irragionevole. Si tratta, dunque, di uno rimedio finalizzato a contrastare le eccessive lungaggini processuali la cui ragion d’essere si rinviene nel principio di ragionevole durata dei processi sancito dall’art. 6 CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo), principio costituzionalizzato nell’art. 111 Cost. quale corollario del c.d. giusto processo.
Occorre, dunque, chiarire cosa si debba intendere per durata ragionevole di un processo. A questo riguardo, la richiamata legge dispone che:
- per il primo grado di giudizio si reputano ragionevoli tre anni;
- per il secondo grado due anni;
- per il grado di legittimità un anno.
Sono previsti, altresì, dei termini ragionevoli per i procedimenti di esecuzione forzata, per i quali si parla di tre anni e per le procedure concorsuali, per le quali si ipotizza un termine di sei anni.
Ad ogni modo, la durata ragionevole si ritiene osservata se si è pervenuti ad un giudizio definitivo ed irrevocabile nell’arco al massimo di sei anni.
Al fine di computare la durata del processo/procedimento e, conseguentemente, di valutare il rispetto dei limiti legali previsti occorre fare riferimento a criteri differenti a seconda che il processo sia di natura civile o di natura penale o ci si trovi di fronte ad un’esecuzione forzata:
- nel primo caso, il termine decorre dal deposito del ricorso introduttivo o dalla notifica dell’atto di citazione;
- nel secondo, invece, da quando l’indagato sia venuto a conoscenza del procedimento penale a suo carico mediante un atto dell’autorità giudiziaria competente;
- infine, nell’esecuzione forzata il termine decorre dal pignoramento.
L’ambito di applicazione
Indipendentemente dal grado del giudizio di cui si tratta, le previsioni della legge Pinto si applicano alle controversie civili, ai procedimenti penali e amministrativi, alle procedure fallimentari e ai procedimenti tributari.
È esclusa, invece, l’applicazione del procedimento in esame ai procedimenti che si svolgono dinanzi ad organi di giustizia privati.
La necessità di esperire i rimedi preventivi
A partire dal 31 ottobre 2016 la legge di stabilità ha immaginato che la procedura stabilita dalla legge Pinto possa essere attivata, a pena di inammissibilità della domanda, solo dopo aver esperito i c.d. “rimedi preventivi“.
Tali rimedi sono costituiti: nel processo civile, dalla proposizione del giudizio con rito sommario o dalla richiesta di passaggio dal rito ordinario al rito sommario fatta entro l’udienza di trattazione e, in ogni caso, almeno sei mesi prima che siano decorsi i tre anni del primo grado di giudizio; nel processo penale, da un’istanza di accelerazione da proporsi almeno sei mesi prima della scadenza del termine di durata ragionevole; nel processo amministrativo, da un’istanza di prelievo con la quale segnalare l’urgenza del ricorso; infine, nei processi contabili e pensionistici e dinanzi alla Corte di Cassazione, da un’istanza di accelerazione presentata, rispettivamente, almeno sei mesi o almeno due mesi prima della scadenza del termine di ragionevole durata.
Competenza
La competenza a decidere sui ricorsi per equa riparazione spetta al Presidente della Corte d’Appello nel cui distretto ha sede il Giudice innanzi al quale si è svolto il primo grado del processo de quale si tratta. Tale competenza ha carattere inderogabile. Pertanto, l’Amministrazione convenuta è tenuta a sollevare l’eccezione di incompetenza nell’atto di opposizione, a pena di decadenza. Tuttavia, l’incompetenza può essere rilevata anche d’ufficio dal Giudice in udienza.
Presupposti, procedimento e parte legittimata
La proposizione del ricorso è subordinata alla sussistenza dei seguenti presupposti:
- irragionevole durata del processo;
- attuazione dei rimedi preventivi (tale requisito è richiesto a pena di nullità);
- esistenza di un danno;
- nesso di causalità tra l’irragionevole durata del processo e il danno stesso.
Pertanto, il ricorrente ha l’onere di allegare: i fatti rilevanti dedotti nel ricorso; la posizione avuta nel processo; la data iniziale e la data della definizione del processo stesso; gli eventuali gradi in cui si è articolato il giudizio.
In presenza di tali presupposti la domanda di equa riparazione può essere presentata dai soggetti legittimati indipendentemente dall’esito del giudizio e dal valore economico di quella controversia.
Danno risarcibile
Il ricorrente può chiedere la riparazione del danno patrimoniale sia nella sua accezione di danno emergente, vale a dire di perdita economica subìta, sia del lucro cessante, ovvero di mancato guadagno.
Per quanto concerne, invece, il danno non patrimoniale risulta risarcibile: il danno morale nella sua accezione soggettiva di turbamento dello stato d’animo, il danno biologico inteso quale lesione dell’interesse all’integrità psichica e fisica della persona e il danno esistenziale consistente nella lesione di altri interessi di rango costituzionale riferiti alla persona.
Prova del danno e determinazione del quantum
L’orientamento più diffuso reputa che l’onere della prova del danno biologico, esistenziale e morale gravi sul ricorrente in modo analogo a quanto previsto dalla tutela aquiliana, poiché il danno morale è inteso quale conseguenza dell’irragionevole durata del processo. La liquidazione del danno non patrimoniale deve avvenire secondo equità. Ai fini dell’individuazione dei parametri di riferimento, si è giunti a ritenere vincolanti i precedenti europei della Corte EDU.
Accoglimento, rigetto ed opposizione
In caso di accoglimento della domanda di equa riparazione il Giudice ingiunge, con decreto motivato, all’amministrazione contro cui è stata proposta la domanda di pagare senza dilazione la somma liquidata a titolo di equa riparazione, autorizzando in mancanza la provvisoria esecuzione. Pertanto, nel decreto il Giudice deve liquidare le spese del procedimento e ingiungere il pagamento.
Qualora il Giudice, invece, con decreto motivato disponga il rigetto della domanda del ricorrente, ciò accadrà per mancanza dei presupposti, per mancata risposta all’invito finalizzato ad integrare le prove o per non sussistenza della prova del danno.
L’opposizione, eventualmente prevista, si proporrà con ricorso all’ufficio giudiziario al quale appartiene il Giudice che ha emesso il decreto.
Dott.sa Monica Lasala
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