Inflazione e consumi, Nomisma: i consumatori rinunciano al cibo più costoso

Sugli agricoltori pesa l’aumento dei costi di produzione e i consumatori subiscono l’impatto dell’inflazione: è quanto emerge dallo studio Nomisma per Cia-Agricoltori Italiani “Le nuove sfide per l’agricoltura italiana”, che mostra un’Italia più preoccupata della media Ue, dove il 51% dei cittadini è in difficoltà economiche, contro il 45% del resto d’Europa.

In particolare – si legge in una nota Cia – l’inflazione pesa su tutto il settore food (+13,1% annuo) con picchi per la pasta (+20%), i prodotti lattiero-caseari (+17,4%) e l’olio (+16,2%). Allo stesso tempo, tutti i settori agricoli sono stretti dall’aumento generale dei costi di produzione (+22%), guidati dal +55% della voce energia. Le maggiori tensioni si registrano nell’approvvigionamento degli input tecnici dall’estero, soprattutto fertilizzanti, che per il 62% sono extra-Ue.

Con l’inflazione cambiano le abitudini dei consumatori

L’indagine Nomisma evidenzia anche i cambiamenti nelle abitudini di spesa dei consumatori. Il 98% di loro, infatti, è preoccupato per la crescita dei prezzi alimentari.

Per far fronte ai rincari, l’84% dei consumatori ha modificato la spesa alimentare, con lo stop al superfluo per il 46% e la rinuncia ai beni voluttuari e di maggior costo: carni rosse tagliate (-14%), pesce (-9%), salumi (-8%) e vino (-6%).

Lo testimoniano anche i canali retail, che vedono un +12% dei discount – si legge nella nota. – Anche la crescita dell’export agroalimentare (+16% sul 2021) è in parte legata all’inflazione.

Parallelamente, l’aumento dell’import porta al netto peggioramento del saldo attivo della bilancia commerciale (da 4,9 miliardi del 2021 a soli 300 milioni per il 2022). “La filiera ha retto, di fronte alle difficoltà – osserva l’indagine – ma potrebbe pericolosamente vacillare se la situazione si protrae per tutto il 2023″.

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