Gli allevamenti intensivi diffondono le zoonosi?
Si parla spesso di allevamenti intensivi, accusati di non tenere in considerazione il benessere degli animali, ma solo il profitto e la produzione.
Lo scorso 24 ottobre 2024, nel convegno “Oltre gli allevamenti intensivi” (in cui si discuteva una proposta di legge per ridurre, ed eventualmente eliminare, gli allevamenti intensivi) è stato affermato che gli allevamenti sono causa della diffusione delle zoonosi. Su questo, però, bisogna fare un po’ di chiarezza.
Gli allevamenti intensivi diffondono le zoonosi?
Le cose non stanno così, anzi è vero il contrario.
Le zoonosi sono delle malattie infettive trasmissibili dagli animali all’uomo e viceversa. Le più note sono la tubercolosi, la brucellosi, la rabbia, la toxoplasmosi, la salmonellosi, l’influenza.
Ce ne sono altre meno conosciute come la trichinellosi, la cisticercosi (verme solitario) e la leishmaniosi. Altre invece, come la psittacosi, il carbonchio ematico o la morva sono conosciute quasi esclusivamente agli esperti.
Malattie negli allevamenti tradizionali
In Italia fino agli anni ’50 del secolo scorso gli animali erano allevati prevalentemente con criteri estensivi e gli allevamenti industriali come li conosciamo oggi erano praticamente inesistenti. Purtroppo, però le zoonosi erano piuttosto diffuse e colpivano molto persone.
La brucellosi, per esempio, colpiva diverse migliaia di persone l’anno. Questo perché non esistevano molti strumenti per prevenire e curare le malattie negli animali, il contatto con le persone era piuttosto frequente e le carni, il latte e le uova non sempre erano ottenute da animali sani. Non era facile sottoporre gli animali che vivevano allo stato brado o in cattività alle necessarie profilassi e cure.
La disponibilità di carne, latte e uova era piuttosto ridotta e le categorie sociali meno abbienti consumavano quantità limitate di alimenti di origine animale.
Con il boom economico nascono gli allevamenti intensivi
Con il boom economico degli anni ’60 è aumentata la richiesta di questi alimenti. Per soddisfare le nuove esigenze sono sorti i primi allevamenti industriali, in grado di utilizzare al meglio le capacità produttive degli animali.
Un requisito fondamentale è stato quello di evitare la diffusione di malattie infettive (incluse le zoonosi), che avrebbero compromesso le capacità produttive degli animali e anche la salubrità degli alimenti prodotti.
In una prima fase si usarono in modo importante ai farmaci antibiotici, ma contemporaneamente furono avviate importanti campagne di profilassi ,che portarono alla completa eradicazione di molte malattie infettive.
Furono anche messi a punto dei programmi di intervento che hanno limitato fortemente la diffusione della BSE (la sindrome della mucca pazza) e impedito che l’influenza aviaria divenisse un grave problema per l’uomo.
La situazione oggi
C’era però (e c’è ancora) il problema degli animali selvatici e degli allevamenti rurali in cui è difficile, se non impossibile, intervenire con profilassi e terapie.
In termini pratici quindi, al momento attuale, abbiamo gli animali degli allevamenti intensivi, esenti da zoonosi, che quindi producono carne, latte e uova salubri. Al contrario gli animali selvatici o da allevamenti rurali possono fornire alimenti contaminati anche da agenti zoonosici e possono anche trasmettere le malattie ad altri animali.
Un esempio tipico sono i cinghiali, tra i quali si è diffusa la peste suina africana che sta mietendo vittime tra i selvatici, ma che può essere controllata tra i maiali che sono protetti dalle “barriere” degli allevamenti intensivi.
I cinghiali sono soggetti ad ammalarsi di trichinellosi, una insidiosa zoonosi parassitaria che si può contrarre mangiando carne cruda o salumi di cinghiali ammalati.
La stessa malattia colpisce anche i suini, ma le severe misure di profilassi ed il controllo delle carni consentono di evitare qualsiasi pericolo per l’uomo.
Discorsi analoghi valgono per altre zoonosi, che sono praticamente assenti negli allevamenti intensivi. Possono essere presenti,, invece, negli animali che vivono allo stato libero e non sono curati.
In conclusione, l’affermazione che gli allevamenti intensivi sono fonte di diffusione di zoonosi non corrisponde a verità. Al contrario i pericoli maggiori possono provenire dagli animali selvatici o che vivono allo stato brado.
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